L'intervista di Affaritaliani.it a Valerio D'Angelo, Amministratore delegato di Fiven, società creatrice di un'intelligenza artificiale totalmente Made in Italy
di Lorenzo Goj
Intelligenza artificiale, l'Ad di Fiven: "I rischi di essere sostituiti ci sono, ma con la formazione può cambiare tutto"
L’intelligenza artificiale si sta confermando, per ora, un fenomeno sempre più in espansione in tutto il mondo. Stati Uniti su tutti, ma anche Cina, Russia e Giappone, stanno già puntando abnormi quantità di denaro per sviluppare sistemi sempre migliori ed efficienti, ma soprattutto vendibili.
Ma proprio perché ad aver assalito a suon di investimenti sono le più grandi potenze economiche del globo, la domanda sorge spontanea: l’Italia, “dall’alto” della sua scarsa digitalizzazione e crisi economica, che ruolo potrà mai avere in questo nuovo e potenzialmente rivoluzionario settore?
Fiven, società di servizi digitali, ha provato a rispondere a questo problema dando vita a dei sistemi di IA completamente Made in Italy. In sintesi, che non si appoggiano in nessun modo al “motore” utilizzato, ad esempio, da ChatGpt e dunque estero. Ma per capirne di più, Affaritaliani.it ha interpellato proprio l’Amministratore delegato della società, Valerio D’Angelo.
In che modo si fa sentire il Made in Italy nella vostra intelligenza artificiale?
Alla base dell’intelligenza artificiale ci sono delle stringhe di codice. Ebbene, questi codici sono scritti nella maggior parte dei casi in lingua inglese. Per quanto i vari chat bot (ma non solo) siano programmati per tradurre più lingue, il linguaggio primario rimane, appunto, l’inglese.
Ciò che ci distingue è che la nostra IA nasce ‘capendo’ l’italiano, una lingua molto complessa. Dunque, non c’è pericolo di traduzioni sbagliate o imprecise, in quanto l’IA è stata sviluppata sulla base della nostra lingua.
Inoltre, la nostra intelligenza artificiale può essere definita Made in Italy in quanto non si basa su una ‘macchina’ proveniente da altri Paesi. I nostri algoritmi e sistemi di machine learning sono totalmente fatti da noi, dunque indipendenti da qualsiasi tecnologia concorrente.
Da soli, gli Stati Uniti hanno investito circa 180 miliardi di dollari nell’Intelligenza artificiale. Tutta Europa, da parte sua, “solo” intorno ai 70. Nonostante questo gap, in che cosa bisogna investire per non rimanere competitivi?
Indubbiamente nella ricerca e sviluppo, ma credo sia fondamentale l’utilizzo di una strategia in particolare. È molto importante osservare le altre tecnologie di intelligenza artificiale esistenti; non per copiarle, ma per scovarne le debolezze e, attraverso lo sviluppo tecnologico, risolverle in modo da rendere il proprio sistema sempre più migliore, efficiente e distintiva.
Ma non solo. Anche la system integration è una valida opzione. Rendere l’intelligenza artificiale più “open” e dunque “aperta” anche ai sistemi di altri competitor può portare enormi vantaggi. Solitamente, infatti, le piattaforme di intelligenza artificiale vengono programmate per non funzionare se “messe a contatto” con altre platform. Noi, al contrario, abbiamo puntato sul potere integrare i software di altre piattaforme ai nostri, venendo così slegati da grosse limitazioni tecniche. E questo ci ha portato vantaggi non da poco.
Siete aperti ad acquisizioni?
Sì, siamo in fase di acquisizioni e abbiamo già puntato un’altra azienda per un M&A che, ci auguriamo, dovremmo portare al closing entro il 2024.
Ma l’intelligenza artificiale è sostenibile?
Assolutamente sì. Innanzitutto, questa nuova tecnologia non impatta più di quanto già non inquinassero i precedenti sistemi di elaborazione di dati. Il vantaggio, comunque, è l’ottimizzazione dei tempi e delle strategie.
Prendendo ad esempio il settore della mobilità, grazie alla strabiliante potenza di calcolo dell’intelligenza artificiale si possono stimare i migliori percorsi e le quantità di merci più facilmente trasportabili per efficientare notevolmente il risparmio energetico e di carburante. In generale, grazie all’IA l’essere umano può muoversi meccanicamente di meno, inquinando conseguentemente in quantità minore.
L’IA ha molti vantaggi, ma non è un pericolo per l’occupazione?
I rischi sono evidenti, non possiamo negarcelo. Ma c’è la possibilità di controbilanciarli con le opportunità che questa rivoluzione ci sta portando. Innanzitutto, portare l’intelligenza artificiale sui banchi di scuola, fin da bambini, è una possibile soluzione. Poi, è necessario educare la fascia d’età dai 30 ai 50 anni, in quanto saranno questi a vivere il mondo del lavoro quando, auspicabilmente tra una decina d’anni, l’intelligenza artificiale sarà entrata con più grinta nel mercato italiano.
Un’altra soluzione sarebbe quella dare incentivi alle imprese sull’utilizzo dell’IA, in modo da poter fare reskilling di quelle posizioni che verranno effettivamente sostituite. Nel caso questo non dovesse succedere, gli italiani si ritroverebbero inevitabilmente fuori mercato.
Quali sono le posizioni più a rischio?
Dai call center alla medicina, passando per uno studio di avvocati, credo che l’intelligenza artificiale colpirà un po’ tutti i settori. Per evitare di venire sostituiti, sarà importante fare un’opera di “orientamento”. Cioè spiegare ai futuri professionisti su quale impiego puntare e quale no, in base alla presenza di un mercato più o meno florido, non totalmente occupato dalla sovra efficienza dell’intelligenza artificiale.
Secondo lei l’IA sarà mai un pericolo per la vita umana?
Non credo proprio. L’intelligenza artificiale è tale perché l’uomo la vuole così, non è altro che frutto del nostro ingegno. Certo, in quanto macchine hanno meno difetti, ma l’intelligenza è infusa da noi stessi.
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